Bombardamento 28 gennaio 1944

Una pagina di dolore e di morte nella storia di Isola della Scala è stata scritta con inchiostro indelebile per molte famiglie isolane nella notte del 28 gennaio 1944. Quel triste giorno sotto quel bombardamento persero la vita 43 cittadini isolani e molti furono i feriti, che ancora oggi portano nei loro corpi le conseguenze di quel tragico evento. Molto è stato scritto in proposito e varie, oltre che discordanti, sono le versioni su quel bombardamento da parte di aerei inglesi che, a più riprese, scaricarono sul nostro paese il loro carico di distruzione. La sola voce univoca è rimasta nei lutti e nelle ferite che, a distanza di anni, in molte famiglie non si sono ancora rimarginate…

Di seguito riportiamo la testimonianza di Mons. Angiolino Boscarini che visse in prima persona quei tragici momenti; testimonianza raccolta nel settembre del 2008 dall’Avv. Cav. Gianantonio Danieli e dal Prof. Pasquale Enea Ferrarini.

LA NOTTE DEL 28 GENNAIO 1944 AD ISOLA DELLA SCALA (VR)

“Sacerdote di prima nomina, sono stato Vicario Cooperatore del Parroco-Abate della Parrocchia-Abazia di Santo Stefano in Isola della Scala (VR), Mons. Giuseppe Fontana, dal settembre 1938 al luglio 1944”. La sera del 28 gennaio 1944, sono circa le ore 21 – 21,30, mi trovo nel teatro parrocchiale Cap. Bovo e seguo la compagnia filodrammatica dei giovani, che sta provando la commedia “La pianella perduta nella neve” con l’accompagnamento al pianoforte della Prof.ssa Balottin. Siamo in un momento di pausa e c’è vocio e baccano. Ad un certo punto entra d’impeto e con viso stravolto un giovane, tale Coraja, detto “il Longo” per la sua statura e magrezza, urlando “scappate, piovono i bengala, bombardano Isola”. E’ un fuggi-fuggi generale: tutti corrono a casa, per vedere delle loro famiglie. Rimaniamo io e la Prof.ssa Balottin: costei, paralizzata dal terrore, non si muove ed io mi offro di accompagnarla, e la accompagno, fino in piazza, al monumento (abita nel viale della stazione ferroviaria). Nel frattempo, nel buio parzialmente illuminato dai bengala, si odono impressionanti rombi d’aeroplani, sibili di bombe in caduta e, subito dopo, si vedono bagliori di esplosioni in varie direzioni, in particolare ad est, nella zona del Municipio e a sud, in zona Ospedale – Cimitero – stradina “dei morti” (ora via De Gasperi) – via Rimembranza. Ritorno al teatro e sotto il porticato che porta alla “cortesèla” della chiesa, sulla porta della canonica, trovo Mons. Fontana e l’altro vicario cooperatore, Don Cristiano Sambugaro, terrorizzati (battono i denti) Pur spaventati ed in concitazione, ci incitiamo a vicenda e ciascuno prende gli Oli Santi per assistere gli infermi che Mons. Fontana già ha preso dalla chiesa e ci dirigiamo nelle direzioni dalle quali giungono i bagliori degli incendi: Mons. Fontana e Don Sambugaro si dirigono di corsa versò il sud del paese, io vado verso il municipio. Là trovo fiamme e la distruzione del municipio, nessuno per strada Arriva di corsa in bicicletta uno della famiglia Melotti che mi urla: “Curato, venga, sta morendo”; con lui corro alla corte di famiglia, nella vicina località Tondello, ove sono piovute delle bombe e sull’aia trovo, in una pozza’ di sangue, uno che deve essere un suo parente: una scheggia gli ha tagliato una vena su una coscia: mi faccio portare uno spago e, con quello usato come laccio emostatico, lo lego al di sopra della ferita e fermo l’emorragia. Torno verso il Municipio e trovo gente davanti alla Casa del Fascio (il Municipio, dall’altra parte della strada è in fiamme e dei volonterosi si danno da fare per entrar a spegnerle), qualcuno mi dice che il maggior numero di bombe è caduto nella zona a sud del paese, dove c’è stata una “strage” e che l’Abate Mons. Fontana è là con un gruppo di soccorritori. Mi dirigo di corsa in quella direzione: nella zona dell’ospedale – strada dei morti (Via De Gasperi) – via Rimembranza, e nel buio intravvedo un paesaggio lunare di macerie di case e come un brulichio di persone che si aggirano disperate e vocianti sulle strade, fra le macerie, le frugano, tentano di spostarne le meno ingombranti per entrare fra i muri rimasti in piedi alla ricerca di sopravvissuti, chiamando nomi a gran voce. Altri, usando porte ed altro materiale di fortuna come barelle, trasportano feriti al vicino ospedale, che pure è parzialmente colpito dalle bombe, e cadaveri verso il pur vicino cimitero. Mons. Fontana e Don Sambugaro impartiscono l’estrema unzione a quelli, feriti e deceduti, che vengono estratti ed aiutano nella ricerca dei superstiti. Si odono urla di gente che chiede aiuto (anche da sotto le macerie?). E’ buio e tutto si svolge nella massima concitazione e confusione, anche per la mancanza di luce. C’è lì un ferroviere, tale Secchiati, che dice di avere una grossa lampada da illuminazione in uso alle ferrovie: su mio invito la va a prendere e così la scena si manifesta in tutto l’orrore: cadaveri distesi per terra, alcuni col cranio spaccato dalle schegge, altri con i visceri che escono dallo stomaco e dall’addome; pur in tale stato, qualcuno è ancora vivo: vicina a me, una donna distesa a terra (Gozzi?), colpita al cranio, mi afferra la veste implorando aiuto con gli occhi, la soccorro e, dopo averle impartito l’estrema unzione, la affido a dei volonterosi perché la portino all’ospedale. I muri rimasti in piedi si vedono pericolanti, così come le travi, ma nessuno si preoccupa del pericolo e tutti frugano fra le macerie. Nel frattempo, comincio anch’io a dare gli Oli Santi a chi viene estratto, correndo dove posso, e ad aiutare i soccorritori; è così che fra le rovine di una casa trovo, morto, il giovanetto Rizzi (8 anni), il chierichetto che alla mattina mi ha servito la Messa. Altri morti trovo sotto le macerie della casa della famiglia Scappini e davanti, sulla strada. Alcuni morti hanno, la bava bianca alla bocca: si dice che è a causa degli spostamenti d’aria provocati dalle bombe; infatti, due giovani sposi che si erano distesi proni per terra sulla strada, ponendo la testa al riparo del cordolo abbastanza alto del marciapiede, si sono salvati. Verso via Rimembranza mi corrono incontro alcuni e mi chiedono aiuto, corro e trovo anche lì rovine e gente che si aggira tra le rovine chiamando disperata nomi di parenti; al mio seguito sono arrivati i miei giovani di Azione Cattolica con parecchia altra gente del paese e con loro aiutiamo a portar in salvo feriti. Gli altri rimangono lì a cercare, io con altri tre, carico due feriti su due porte trovate fra le macerie e andiamo a portarli all’ospedale, altri ci seguono portandone, alla meglio, altri. All’ospedale, reso parzialmente inagibile dallo scoppio di una bomba, trovo una disperazione generale: gente ferita alla testa, alle gambe, al tronco, ricoverata ovunque, tra un via vai di infermieri (pochi) e di soccorritori (tanti), pieno è anche nei corridoi. Il primario, Prof. Cartolari, mi viene incontro con le mani ai capelli e gli occhi stralunati: “Curato, siamo rovinati! Non ce la facciamo!”. E’ così che viene organizzato su due piedi un servizio di trasporto urgente dei meno gravi all’ospedale di Bovolone: con l’ambulanza dell’ospedale e con altre vetture con le quali parecchi si sono messi a disposizione. Anche i fratelli Flavio e Gedeone Corrà (di cui si sta trattando il processo canonico di beatificazione), miei dirigenti di Azione Cattolica, intervengono nell’azione di soccorso, benché siano alla macchia in quanto “ricercati” quali appartenenti al gruppo isolano della Resistenza che è in appoggio alla Missione RYE (Organizzazione d’intelligence promossa dagli alleati, finalizzata a monitorare i movimenti delle truppe tedesche nel territorio). Davanti all’ospedale, fra i tanti, trovo Gedeone, anche lui, come me, con mani, braccia e vesti sporche di sangue: andiamo a lavarci presso la famiglia Filippi, che abita dall’altra parte della strada. I morti vengono portati e distesi sotto il pronao del cimitero. Alle 5,30 noi sacerdoti ritorniamo alla chiesa e celebriamo la messa dei defunti. Le vetrate dell’Abazia sono sfondate dagli spostamenti d’aria e cosi pure gli infissi della canonica, in camera mia oltre che vetri fondati, anche le suppellettili sono frantumate e il letto e ribaltato per gli spostamenti d’aria. Più avanti nella mattina e nella giornata, tanta gente, singolarmente o a gruppi, in genere capi famiglia, via via viene in canonica, cosi come va dal Podestà, per offrire aiuto ai superstiti rimasti senza casa e senza parenti che li potessero ospitare Organizziamo gli interventi coadiuvati dai membri dell’Azione Cattolica e della S. Vincenzo: anche con l’intervento del Comune vengono collocate presso altrettante famiglie una quindicina di gruppi famigliari rimasti senza tetto, altrettanti presso la scuola elementare. Raccogliamo subito un quintale di riso e mezzo quintale di zucchero, che distribuiamo ai bisognosi. Successivamente, sempre coi contributi in natura e denaro della popolazione, viene apprestata una mensa all’asilo infantile, che serve due pasti caldi al giorno per una cinquantina di persone, fino alla cessazione dell’emergenza “. “I m orti di quella notte, ricordo, furono 32; altri morirono in seguito per conseguenza delle ferite riportate, non ne ricordo il numero, forse 10 – 15. Moltissimi furono i feriti, molti dei quali rimasero mutilati o altrimenti invalidati permanentemente. Per Isola della Scala quella notte fu un vero martirio, e lo fu per tutta la popolazione che riportò una ferita morale collettiva indelebile. Però, nel contempo, attraverso l’eroismo che direi collettivo nel soccorrere le vittime fra le macerie, nelle case semidistrutte e fra i muri pericolanti, a sprezzo della vita, e l’unanime solidarietà nei confronti dei superstiti colpiti, la popolazione ha avuto modo di sperimentare la profondità e la saldezza dei propri legami sociali e la volontà di riprendersi e ricostruire, sia moralmente che materialmente il proprio essere comunità civile”.


A seguito del bombardamento venne stampato e distribuito, il 3 febbraio 1944, un volantino che invitava tutti i cittadini a donare generi di prima necessità per aiutare gli isolani sinistrati. 


Di seguito riportiamo alcune foto scattate l’indomani del bombardamento.


A ricordo del tragico evento il 28 gennaio 1974 è stata posta una lapide in via De Gasperi.


L’amministrazione Comunale di Isola della Scala ha voluto dedicare al bombardamento del 28 gennaio ’44 il viadotto nord della nuova tangenziale, dove si è svolta la cerimonia d’inaugurazione il 20 luglio 2007; la motivazione è stata: “a ricordo di un rovinoso bombardamento aereo e della volontà di ricostruire, della quale è testimonianza l’Isola della Scala di oggi”.


Si ringrazia la Biblioteca Comunale di Isola della Scala per aver messo a disposizione le fotografie.
Nel 2022 è stato pubblicato il volume: “Polato S., Isola della Scala – 28 gennaio 1944. Storia di un bombardamento, Cooperativa Sociale La Scintilla, Isola della Scala, 2022″ che contiene una ricostruzione storica dettagliatissima del bombardamento.