Municipio

di Bruno Chiappa

“La casa del comun” fu per secoli al centro della piazza, grosso modo dove ora sorge il monumento. Il luogo dell’attuale municipio era invece occupato dai quartieri militari, per questo è comunemente denominato “il quartier”- rinnovati nel 1747 su progetto del noto ingegnere Saverio Avesani. Erano stati devastati da un incendio verificatosi in occasione del concentramento in essi di parecchi soldati inviati qui per le contingenze del fiume Tartaro. Per ultimarli il comune trovandosi “senza denaro abbastante” aveva dovuto vendere una porzione del suo patrimonio fondiario: i 178 campi che facevano parte della campagna Frassanara, ai confini con Buttapietra. Nel secondo decennio dell’800, essendo cessata, in seguito alla caduta della repubblica veneta ed ai successivi avvenimenti storici che portarono il Veneto a far parte dell’impero austro-ungarico, la funzione militare di Isola, si decise di destinare gli edifici dei dismessi quartieri per gli usi dei “regi ufficii del Commissariato e Pretura, non che per quelli della local Deputazione, delle carceri ed infine della casa del custode carcerario”. Le notizie che ci accingiamo ad esporre provengono da fonte indiretta, essendo stato distrutto l’archivio comunale dai bombardamenti del 1943, e precisamente da una corrispondenza fra la deputazione provinciale che esercitava funzioni di controllo sulle iniziative dei singoli comuni ed l’Imperiale Regio Ufficio dell’ingegner capo. Tale corrispondenza giace presso l’Archivio di Stato di Verona nel fondo “Genio Civile”. Da esse si apprende che il progetto era stato elaborato dall’ingegnere civile Giuseppe Erbesato su incarico della Deputazione Comunale del 18 novembre 1826 la quale aveva provveduto alla sua approvazione il 3 marzo 1827. Il capitolato d’appalto prevedeva che si impiegassero mattoni acquistati “alla fabbrica della Garolda” per le strutture murarie, pietra tenera per i contorni di finestre e porte, il larice per le parti in legno degli infissi e del tetto. La terminazione delle opere era fissata entro 60 giorni lavorativi dalla data di inizio ed il pagamento sarebbe avvenenuto in quattro rate, di cui l’ultima a collaudo eseguito. Chiamato ad esprimere il suo parere sull’elaborato dell’Erbesato l’Ufficio dell’ingegnere in capo lo trovò redatto con “sufficiente chiarezza e coerenza e secondo i metodi voluti dalla buone regole dell’arte” ma nel contempo non mancò di formulare una serie di osservazioni e di proposte di modifiche. La principale riguardava la scale di ingresso costruita ex novo. Così come era stata progettata, ad un solo ramo, essa conduceva “a dar -per così dire- la testa in un muro”. Si proponeva di partire appena all’interno del portale con due rampe che a metà del corso confluissero su un “pato” e da esso si proseguisse con un solo ramo anche se -come si constata salendo al piano superiore degli uffici comunale- si invertì l’ordine delle rampe (si parte con una sola rampa che poi si gemina). Altre osservazioni furono fatte a proposito della collocazione della sede del Regio Commissario prevista sopra la cucina del custode carcerario e quindi in luogo per diversi aspetti poco conveniente alla dignità dell’ufficio; dei pavimenti delle carceri che dovevano essere di tavole e non di cotto; della mancanza nelle stesse degli sciacquatoi e mastelle per la pulizia dei detenuti. Di tutto questo l’Erbesato fu invitato a fare il debito conto affinchè la Deputazione Provinciale rilasciasse il benestare al progetto. Ma le cose non dovettero procedere con la straordinaria sollecitudine che i 60 giorni di cui parla il capitolato promettevano o comunque i lavori eseguiti non furono sufficienti. In una lettera della Deputazione Provinciale all’Ufficio dell’Ingegnere Capo che porta la data 31 agosto 1834 si parla di un “riformato piano di fabbrica” e di una spesa che secondo il contratto con la ditta Faccioli doveva essere di 16.773 lire austriache mentre, a lavori non ancora ultimati, era già ascesa a lire 23.679. Responsabili dell’aumento erano state “le molteplici e non autorizzate variazioni del lavoro”. In sostanza si prevedeva che l’opera ultimata sarebbe costata più del doppio. Insomma tempi lunghi, variazioni in corso d’opera e raddoppi dei costi: sembra la perversa sequenza tante volte sentita ai giorni nostri mentre data a più di un secolo e mezzo fa. Ma quale fu la portata complessiva dell’intervento sull’edificio dell’ex quartiere militare? Non essendo allegati alla documentazioni che abbiamo analizzato i disegni cui spesso si fa riferimento, riesce difficile stabilirlo. La nostra curiosità si appunta soprattutto sulla parte più significativa dell’edificio, la facciata, caratterizzata da un primo piano a finto bugnato e dalla serie di colonne con capitelli corinzi che sorreggono l’imponente timpano della parte centrale. L’ispirazione neoclassica, seppur interpretata secondo schemi rigidamente accademici, si esprime in una monumentalità che purtroppo l’angustia degli spazi antistanti non permette di cogliere adeguatamente. E a questo punto un’altra curiosità ci sorprende. Quella di conoscere meglio questo ingegnere locale che ad Isola ha lasciato un altro monumento a nostro avviso ingiustamente dimenticato: quello del macello: fino a pochi anni or sono di proprietà comunale. A nostro avviso vanno a lui attribuiti anche i lavori ottocenteschi di ristrutturazione della chiesa di S. Maria Maddalena, iniziati nei primi decenni dell’800 e rimasti imperfetti. Se ne ha riprova dagli ornati delle colonne del tutto uguali a quelli della facciata del Municipio.