Miti e leggende

I miti e le leggende traggono il loro contenuto dalle vicende che interessano una comunità; si tramandano oralmente e di conseguenza, con il passaggio da una generazione all’altra, subiscono modificazioni, spesso esagerate. Non potendo avere un riscontro documentale su questi racconti fantastici, risulta difficile stabilirne la veridicità, tranne nei casi in cui si riesca a rinvenire tracce tangibili. Ma visto che “Vox populi, vox Dei” una parte di verità è sempre ravvisabile. In questa scheda raccogliamo alcuni miti e leggende che interessano la nostra terra isolana. 


Isola della Scala scrigno di un tesoro nascosto?

Croce che si trova a lato dell’Abazia.

Un fil rouge unisce la misteriosa Abazia di Rennes-le-Château che si trova in Francia nella regione dell’Occitania nel dipartimento dell’Aude, dove visse il leggendario parroco Bérenger Saunière, con l’Abazia di Isola della Scala. Il leggendario parroco (1852-1917) mentre stava ristrutturando la chiesa nel 1891 avrebbe rinvenuto degli antichi documenti riguardanti un grande segreto storico. Attraverso il possesso di questi documenti, forse per comperare il suo silenzio circa il loro contenuto, Saunière fu in grado di ottenere una ricchezza assolutamente sproporzionata alle possibilità di un parroco di quel tempo. Sulla tomba dell’Abate Saunière, posta nel piccolo cimitero a fianco della chiesa, è presente una croce con la scritta INRI; fin qua nulla ci sarebbe di strano se non fosse che vi è un’anomalia: la N è rovesciata. INRI sta per “ Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum: la N, che vorrebbe dire NAZARENUS, se scritta rovesciata diventa una H, così da leggersi HTERAZAN, che diverrebbe la contrazione dell’antico ebraico HA TE RATZ AN che significa “camera misteriosa”. Il riferimento è chiaro: al Sancta Sanctorum; si tratta del luogo più sacro del Tempio di Salomone. Adiacente all’Abazia di Isola della Scala, dove si trovava fino agli inizi dell’800 un cimitero, è presente una croce tombale che ricorda Vincenzo Mendini morto il 6 ottobre 1799; anche qui la N di INRI è rovesciata!

Che l’Abazia Santo Stefano di Isola della Scala sia custode di un segreto della cristianità? Il dubbio permane anche se è più probabile che sia un errore dello scalpellino; non è raro trovare iscrizioni dei secoli scorsi con errori di scrittura di vario genere da addebitarsi ad una limitata cultura di chi era addetto a effettuare le iscrizioni.


Apocalisse di San Giovanni

Il soffitto dell’Abazia di Isola della Scala ha subito nel corso dei secoli alcune modificazioni. Inizialmente si vedevano le capriate, nel 1805 vennero installati dei cassettoni dipinti che avevano lo scopo di abbassare il soffitto e facilitare anche il riscaldamento della Chiesa. Nel gennaio del 1969 vennero tolti per liberare il soffitto e rimettere in luce l’imponente struttura a capriate che era visibile in origine. La travatura si trova a circa 14 metri di altezza; una volta rimossi i cassettoni è risultato visibile un disegno posizionato sul terz’ultimo trave del soffitto verso la parete di destra, si tratta di un vaso di fiori con a fianco dei numeri. Dal pavimento risulta difficile interpretare i numeri che appaiono, ad una prima lettura: 666.

Il numero 666 nella tradizione biblica ha un significato ben preciso. Lo ritroviamo nella Apocalisse di San Giovanni al capitolo 13:

La bestia che viene dalla terra
11E vidi salire dalla terra un’altra bestia che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, ma parlava come un drago. 12Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. 13Opera grandi prodigi, fino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. 14Per mezzo di questi prodigi, che le fu concesso di compiere in presenza della bestia, seduce gli abitanti della terra, dicendo loro di erigere una statua alla bestia, che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. 15E le fu anche concesso di animare la statua della bestia, in modo che quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non avessero adorato la statua della bestia. 16Essa fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla mano destra o sulla fronte, 17e che nessuno possa comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. 18Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: è infatti un numero di uomo, e il suo numero è seicentosessantasei.

Un numero con un tale significato può sorprendere all’interno di un luogo sacro. A una più attenta lettura le cose non stanno proprio così: in realtà non si tratta di 666 ma di 1856. Da un passaggio segreto posto nel retro dell’Abazia si poteva accedere al soffitto a cassettoni, questo per facilitarne la manutenzione, è sicuramente durante uno di questi interventi che qualche operaio ha disegnato sul trave il vaso di fiori e ha riportato l’anno, il 1856. 


Tunnel segreti

La tradizione orale giunta fino ai nostri giorni racconta che a Isola della Scala vi fossero alcuni tunnel che mettevano in collegamento edifici storici sia del centro paese sia dell’immediata periferia; la loro funzione sarebbe stata di difesa mettendo in condizioni le persone, in caso di assedio, di fuggire senza lasciare traccia. Si parla di almeno tre tunnel.

Il primo avrebbe messo in collegamento Palazzo Rotto, che si trovava in fondo all’attuale via Primo Maggio, con il convento di santa Maria Maddalena.

Estratto della mappa contenuta nel registro generale dimostrante i beni soggetti a Decima, foglio R, conservato presso l’Archivio Parrocchiale di Isola della Scala – 1788. Il tratteggio blu indica l’ipotetico percorso del tunnel. 

Il secondo avrebbe dovuto collegare l’Abazia Santo Stefano di Isola della Scala con il Santuario della Madonna della Bastia.

Il terzo avrebbe collegato la casa padronale di Corte Palazzina al Santuario della Madonna della Bastia.

Alcuni anziani raccontavano che da bambini avevano visto sia l’ingresso del tunnel che avrebbe messo in comunicazione Corte Palazzina con il Santuario della Bastia sia l’ingresso del tunnel che da Palazzo Rotto avrebbe dovuto condurre al convento di Santa Maria Maddalena. Lo storico sagrestano dell’Abazia raccontava che le possenti mura interne dal grande spessore avevano, in qualche punto, un’intercapedine dalla quale era plausibile potesse partire qualche tunnel.
Questi passaggi segreti risalirebbero ad alcuni secoli fa e, pertanto, per effetto degli eventi naturali e per l’intervento dell’uomo difficilmente sarebbero ancora esistenti. Infatti ai giorni nostri non vi è più traccia degli ingressi.
Passando ad analizzare la morfologia del nostro territorio è da scartare il tunnel che doveva unire l’Abazia al Santuario della Bastia; questo ipotetico tunnel avrebbe dovuto passare sotto i corsi d’acqua del Tartaro e del Piganzo con le inevitabili infiltrazioni di acqua che ne avrebbero compromesso la staticità. Più probabili sono gli altri due che non attraversano corsi d’acqua; in assenza di una qualsiasi documentazione a supporto della loro esistenza a questo punto non resterebbe che effettuare una verifica con il georadar.


Il mistero della Madonna del velo di Raffaello Sanzio

L’Abate Pietro Garzotti, come abbiamo avuto modo di accennare in altre schede, pubblicò nel 1878 uno scritto relativo ad un quadro presente all’interno della Canonica Abaziale e che egli ricondusse al pennello di Raffaello Sanzio. Sempre nel suo scritto specificava di essere il proprietario di tale dipinto dal 1863. Si tratterebbe della Madonna del Velo, realizzata nei primi anni del ‘500, il cui originale si trova attualmente in Francia presso il museo Condé di Chantilly. Tale opera ebbe un enorme successo, tanto che venne riprodotta in numerose copie; una di esse venne anche segnalata nell”800 a Verona. L’Abate Garzotti, scomparso il 5 novembre 1885, lasciava scritto nel testamento che il dipinto doveva essere spedito al Sommo Pontefice Leone XIII: […] in segno di profonda riverenza e di attaccamento inalterabile al Santo Padre, al Pontefice Sommo lascio allo stesso il mio quadro – La Modonna del Velo – soggetto di Raffaello che io illustrai nel Leonardo da Vinci del 1878. Come esulterei che riconosciuta per originale tornasse a Roma nelle mani del Papa […]. Di tale dipinto non vi è traccia nella canonica Abaziale di Isola della Scala.
Ripercorriamo la vicenda.
Il Garzotti indica come esecutori delle sue ultime volontà testamentarie tre persone tra cui il sacerdote che alla sua morte verrà nominato nuovo Abate di Isola della Scala: Don Manfredi Vincenzo nei confronti del quale nutriva stima e riconoscenza. Per la serietà di don Manfredi è realistico che il quadro, come da volontà testamentarie, sia stato inviato a Roma a papa Leone XIII. Ritenendo che un quadro di tale valore e interesse artistico fosse arrivato a Roma avrebbe avuto come destinazione i Musei Vaticani; abbiamo consultato gli inventari dei beni artistici in esso conservati e l’esito è stato negativo, il quadro non risulta presente. Il fatto che non sia catalogato non esclude che possa essere appeso in qualche stanza della Città del Vaticano. Rimane il dubbio se quel quadro rimasto nella canonica abaziale per 22 anni fosse l’originale. Purtroppo no. L’originale di Raffaello fu acquisito dal Duca di Aumale nel 1854, con la collezione del suo patrigno (e zio) il Principe di Salerno Leopoldo di Borbone dopo la morte di quest’ultimo, ed è a partire da tale data che è esposto al museo Condé di Chantilly in Francia. Era cioè già esposto al museo prima che il Garzotti ne entrasse in possesso; il suo quadro era, pertanto, una delle tante pregievoli copie che nell’800 giravano per l’Italia.