La chiesa di S. Maria Novella in Erbedello

La chiesa di S. Maria Novella in Erbedello caratteri di un’architettura “minore” in ambiente rurale

di Coltro Roberta

La chiesa di S. Maria Novella si trova nel comune di Erbè, poco centra con Isola della Scala. Abbiamo ritenuto però pubblicare questa tesina, realizzata da una studentessa dell’Università di Verona Facoltà di Scienze dell’Educazione con corso di laurea in Scienze della Formazione, in quanto si tratta di un pregevole lavoro realizzato con la finalità di valorizzare un importante patrimonio presente nella Bassa Veronese. 

INTRODUZIONE

“Il patrimonio storico – artistico e architettonico è un bene collettivo e universale di cui ogni Paese e ogni generazione debbono considerarsi soltanto depositari e quindi responsabili di fronte alla società, a tutto il mondo civile e alle generazioni future”(1)

In un’epoca come la nostra, in cui anche i valori sociali su cui si fonda la convivenza civile sembrano talvolta venir meno, il recupero e la valorizzazione delle nostre radici culturali, del nostro passato, della nostra storia più o meno recente, assumono un’importanza decisiva e fondamentale ai fini dello sviluppo e della promozione sociale. La stessa capacità di programmare e gestire il futuro delle nostre comunità dipende in gran parte dal grado di rilettura e comprensione del nostro passato, dallo sforzo – non sempre facile –di cogliere le linee portanti che hanno retto e reggono lo sviluppo e le trasformazioni del nostro territorio: in tal senso anche il recupero del patrimonio storico – artistico e architettonico può assumere la funzione di catalizzatore per un’attenta promozione culturale e civile. Ma la valorizzazione di questo nostro patrimonio, ancor prima di giungere ad un auspicato intervento di risanamento e conservazione, deve necessariamente passare attraverso una conoscenza approfondita dell’oggetto e del suo contesto ambientale, mediante una rivisitazione della sua storia e delle sue vicende. Ed è in tale contesto che trova collocazione l’iniziativa dell’Amministrazione Comunale, la quale intende dare un esplicito contributo affinché la salvaguardia della singolare e preziosa chiesetta di Santa Maria Novella diventi un’esigenza generalizzata e consapevole, saldamente ancorata alla comprensione del suo “valore”.

1. L’ASPETTO STORICO

Tra le testimonianze romaniche d’architettura chiesastica che costellano Verona e il suo territorio, quella di Santa Maria Novella in Erbedello – antico feudo di San Zeno – sembra, curiosamente, essere passata quasi del tutto inosservata. Chi ne ricercasse qualche cenno negli scritti del Maffei o del Biancolini ne rimarrebbe certamente deluso. Ugual cosa accadrebbe rivolgendo l’attenzione alla storiografia artistica. Eppure nel 1822 Carlo Cipolla, allora ispettore della Commissione Conservatrice dei Monumenti e oggetti d’arte e antichità, aveva avvertito di non perdere d’occhio “questo piccolo tesoro artistico(2) ricco di “notevolissimi affreschi(3) che vanno dal XIII al XV secolo. Delineare le motivazioni d’una simile disattenzione risulterebbe difficoltoso e complesso. Tuttavia due potrebbero essere le ragioni di fondo di tale silenzio: – Le dimensioni modeste dell’oggetto architettonico, privo all’apparenza di particolari segni linguistici, poco eloquente rispetto ai modelli formali più noti; – La mancanza di precise fonti scritte che aiutassero a far luce sulle origini e sulla datazione del complesso. Fu proprio a questa seconda ragione che va attribuita la formulazione di ipotesi poco attendibili circa la fondazione della chiesa, creduta l’antica pieve di Erbè. Sarà partendo dalla storia di questo nucleo abitativo che tenterò di dipanare le vicende di Santa Maria Novella.

1.1 La storia del “paesello”

Le origini di Erbè risalgono ad epoca altomedievale. Nel testamento di Engilberto del fu Grimoaldo, del 28 maggio 846, l’abitato di Erbè risulta menzionato come “vicus”: il che fa presupporre l’esistenza di un agglomerato consistente cui faceva riferimento la “curtis” di Engilberto, proprietario di cospicui beni in varie località della Bassa veronese. Erbè non compare nei diplomi e privilegi concessi al monastero di San Zeno(4) precedenti al diploma rilasciato all’abate Rozo dall’imperatore Enrico II il 21 maggio 1014. In tale atto, tra i vari possedimenti concessi o riconfermati all’abazia di San Zeno, è indicata la località di Erbè: “In eodem territorio Veronesi […] Castellum Herbetum cum adjacentiis et pertinentiis suis”. Altre conferme della proprietà e della giurisdizione sul territorio erbetano al monastero vennero successivamente concesse da: > Corrado II nel 1027; > Federico I nel 1163 con il quale non si fa più menzione del castello, mentre compaiono una corte e il diritto del distretto; > Papa Urbano III nel 1187; > Federico II nel 1221 con il quale i diritti dell’abazia su Erbè si ampliarono sensibilmente. Le vengono assegnati il comitato e la giurisdizione, e il possedimento di Erbè diviene un vero feudo: “Curtem Herbeti cum pertinentiis, et districtu, Comitatu, et jurisdictione”. Ma il documento che maggiormente interessa ai nostri fini è L’elenco delle Ville Del distretto veronese compilato nel 1184 dai procuratori del Comune: tra queste compaiono Surghata (Sorgà), Pons Passaro (Pontepossero), Herbetellum (Erbedello), Herbetum (Erbè) e Trevenzolus (Trevenzuolo). Alla fine del XII secolo, pertanto, accanto ad Erbè risulta elencata anche la “villa” di Erbedello: due nuclei abitativi contigui e soggetti entrambi alla giurisdizione di San Zeno, ma che vantavano tra loro autonomia amministrativa, giuridica e istituzionale. Dunque, sorto forse come espansione di Erbè nei secoli centrali del medioevo, Erbedello si era andato sviluppando sino a raggiungere una configurazione insediativa tale da farlo inserire tra le ville del distretto. Già alla fine del duecento, però, come appare da un documento del 1295 –in cui per la prima volta viene ricordata l’ecclesia Sanctae Mariae – molti appezzamenti provvisti di case abitative, risultano ridotti a coltura, mentre Erbedello viene menzionato come “burgus Herbeti”. Non è forse azzardato dedurne che già allora fosse in atto una sorta di processo involutivo del burgus a favore della villa di Erbè certo più munita e meglio difesa dalle frequenti scorrerie dei mantovani. La località di Erbedello viene ricordata nei documenti di San Zeno sino al XVIII secolo; poi, con la soppressione del monastero(5), la distinzione tra i due centri, Erbè ed Erbedello, venne affievolendosi a tal punto che il toponimo del secondo è rimasto legato quasi esclusivamente alla chiesa. La tradizione che voleva Santa Maria Novella antica pieve di Erbè va dunque riveduta: e non solo perché l’ente cenobiale di San Zeno non aveva alcun potere di istituire pievi nei propri possedimenti, ma anzitutto perché a Erbè esisteva già la chiesa di San Giovanni Battista. Alla luce di tali acquisizioni si può quindi ipotizzare che le origini si Santa Maria Novella siano da connettere col ruolo di polo religioso dell’antico borgo rurale di Erbedello. Non si conosce una data precisa di costruzione dell’edificio, ma da alcuni documenti potrebbe essere fatta risalire alla fine del XI e prima metà del XII secolo, periodo nel quale rientrano la maggior parte delle costruzioni romaniche della Bassa veronese (una lapide nella vicina chiesa della Bastia a Isola della Scala indica il 1126 come l’anno della sua ricostruzione). Lungo il corso dei secoli l’Erbedello ha subito una notevole quantità di interventi piccoli e grandi, in parte causati da eventi naturali e in parte dovuti all’opera dell’uomo. Pur essendo il risultato di numerose modificazioni Santa Maria Novella di Erbedello ha mantenuto un proprio aspetto unitario che la configura come chiesa “popolare”, testimonianza di una religiosità semplice ma sentita, che non guarda ad altro se non all’essenziale. Ha sfidato i secoli, resistendo tenace al degrado subito dal tempo e dal clima, ed ora, ritornata a giusta e degna considerazione, ostenta con rinnovato orgoglio il suo carattere semplice e rude ma carico di spiritualità.

La chiesa prima del restauro

2. L’ASPETTO ARCHITETTONICO

Percorrendo la strada provinciale che da Erbè porta a Pontepossero si nota, sulla destra, rientrante rispetto alla strada, una chiesa di modeste dimensioni e di semplici forme. Questa piccola chiesa si colloca in un lotto verde aperto su tre lati e delimitato a sud da un gruppo di case in linea, tipiche dell’architettura minore della campagna veronese; con i volumi delle tre absidi l’edificio volge le spalle alla strada, mentre la facciata principale è rivolta ad ovest, verso i campi attraversati dal fiume Tione che un tempo era un’importante via di comunicazione e commercio per la gente del luogo. Vi si accede attraverso un percorso in pietra costruito recentemente assieme ad un sacrato di mattoni. 

2.1 Chiesa di Santa Maria Novella: lato est

A prima vista, il lato che appare è quello Est che presenta le tre absidi, una maggiore e due minori laterali, con l’arco campanario soprastante. I pilastri dell’arco, sporgenti dal muro, poggiano sui tettucci di due absidi. La campanella in bronzo, (richiamo per i fedeli), posta sotto l’arco e sostenuta da aste in ferro, è ornata con rilievi di immagini sacre. La parte inferiore delle absidi è costituita da file di mattoni alternate a file di ciottoli disposti obliquamente, mentre ad una certa altezza il materiale usato è il solo laterizio, con filari di mattoni più grossi alternati irregolarmente a filari di mattoni più sottili. Facilmente le pietre sono di riporto, cioè provengono da altri edifici distrutti nella zona. Si sa che i Romani, circa 1000 anni prima, avevano fatto un loro insediamento nel territorio e si conosce pure l’esistenza di un ponte da essi costruito e poi andato distrutto. (6)

2.2 Chiesa di Santa Maria Novella: lato sud

Questa parete è l’unica che oltre alla facciata, presenta aperture destinate a dar luce all’interno della chiesa. Trattasi di un finestrino a doppia strombatura di pure forme romaniche e una finestra quadrangolare appartenente ad una fase successiva. La porta invece è degna di maggiore attenzione perché sopra di essa si riconosce a stento un disegno a graffito che rappresenta uno stemma gentilizio. Questo è identificabile con quello di casa Rezzonico – Della Torre(7)

planimetria

2.3 Chiesa di Santa Maria Novella: lato nord

Questa parete è leggermente inclinata verso nord, particolare che si può rilevare con maggiore facilità nella sua parte interna e che giustifica l’erezione dei tre contrafforti (con la funzione di sostegno). La loro presenza è conseguente alla natura del terreno, molto instabile e paludoso. Presumibilmente per i rischi di frane, la chiesa venne rafforzata nell’angolo di sinistra della facciata principale, dove il contrafforte si unisce in un unico imponente blocco con quello del fronte nord; su quest’ultimo lato insistono gli altri due, uno nella parte mediana della parete e l’altro nella parte finale. L’immagine inoltre presenta una porta romanica ad arco con i conci in tufo a raggiera, chiusa sicuramente già nel XIV secolo, come testimoniano gli affreschi all’interno, che ne coprono la parte tamponata. 

2.4 Chiesa di Santa Maria Novella: lato ovest

È una semplice facciata con tetto a capanna, senza lesene e particolari ornamentali. Sopra la porta principale, con apertura ad arco a tutto sesto, si apre un finestrino a semplice occhio. Partendo dal basso sono visibili frammenti di uno zoccolo sporgente costituito di grossi ciottoli e lastre di tufo, il quale corre attorno a tutto l’edificio in alcune parti più, in altre meno visibile. Tale zoccolo davanti alla porta sporge formando il gradino d’accesso. Il materiale di facciata è costituito da fasce alterne di ciottoli disposti a spina di pesce ed altre in mattoni di tipo romano, con occasionali inserti tufacei. Interessante è il fregio, composto di mattoni disposti a dente di sega che corre lungo tutta la parte superiore dei muri perimetrali della chiesa, esclusa la zona absidale.

3. L’ASPETTO ARTISTICO

L’interno della chiesa si presenta interamente affrescato secondo un’impaginazione che in un primo momento potrebbe sembrare regolare e continua come quella di un ciclo pittorico. In realtà si tratta di un insieme eterogeneo di riquadri semplicemente accostati, dipinti in momenti diversi e da differenti artisti. Gli affreschi si inseriscono in un arco di tempo che, dalla fine del Duecento alla metà del Quattrocento, corrisponde ad un periodo molto vivace a Verona sotto l’aspetto politico e culturale durante il quale erano favoriti i contatti con altre provincie venete e successivamente con quelle lombarde ed è in questo periodo che le chiese vengono interamente affrescate con riquadri votivi. Nella Chiesa di Santa Maria Novella ci sono in totale quaranta singoli riquadri tra affreschi di carattere “popolare” eseguiti da frescanti poco esperti e affreschi di un più alto livello esecutivo. Gli affreschi più antichi sono di un periodo compreso tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, purtroppo ridotti a frammenti. Una seconda fase ci porta alla prima metà del XIV secolo con esempi di due artisti che, pur operando nello stesso periodo, usano stili completamente diversi. Ritroviamo poi, in una terza e quarta fase, testimonianze di uno sviluppo percepibile soprattutto nei modi di rappresentare la figura della Madonna(8). L’ultima fase di decorazione viene rappresentata dal ciclo absidale con un’arte che si inserisce in un contesto tardogotico, con un’influenza della pittura lombarda. Gli affreschi absidali sono gli unici databili e attribuibili (9); quelli laterali, eseguiti da diversi artisti in varie epoche, sono invece di difficile attribuzione e datazione. Le pareti si presentano come un susseguirsi di figure che si affiancano e a volte si sormontano formando più strati disomogenei che testimoniano una varietà figurativa, di stili e di influenze, riscontrabili solo in alcune chiese di Verona. Ci viene così offerta una panoramica artistica ricca e complessa formata da affreschi votivi, con numerose raffigurazioni di Madonne e San Antonio, commissionati dalla borghesia cittadina o dai devoti della stessa Erbedello prendendo al proprio servizio pittori girovaghi senza eccessive pretese. Questi pittori dipingevano senza un progetto decorativo unitario, ogni riquadro esiste per se stesso, ognuno con la propria caratteristica pittorica.

3.1 AFFRESCHI DELL’ERBEDELLO

1. Madonna in trono con bambino
2. Madonna in trono con bambino e S. Antonio Abate
3. Madonna con bambino e santa
4. Santa con palma e S. Antonio Abate
5. Figure di santi
6. Madonna con bambino al centro e due sante ai lati
7. Figure di santi vescovi con pastorali, Madonna con bambino e santo con libro
8. Madonna in trono con bambino lattante
9. Figure di santi
10. Crocifissione mutila
11. Madonna con bambino
12. Madonna in trono con bambino, S. Giovanni Battista, santo con pastorale, famiglia di offerenti
13. Due santi affiancati
14. S. Giorgio con offerente
15. Santa Giustina o Madonna incoronata
16. S. Cristoforo con bambino Gesù
17. Madonna in trono con bambino
18. Madonna in trono con bambino e S. Anna
19. Madonna in trono con bambino
20. Figura di santo monaco
21. Madonna in trono con bambino
22. Testa di santo vescovo
23. S. Antonio Abate con offerenti
24. S. Giuliano uccide i genitori
25. S. Giuliano parla con la moglie Basilissa
26. Madonna con bambino
27. Frammento dell’immagine di S. Antonio Abate
28. Scena di elevazione eucaristica
29. Scena di elevazione eucaristica
30. S. Vescovo che presenta una chiesa
31. Simboli degli evangelisti e resti di figura in maestà centrale
32. Medaglioni con profeti e fregi floreali
33. S. Apollonia
34. Riproduzione a fresco di preghiera
35. S. Sebastiano martire e due arcieri
36. Angelo annunziante

Il restauro eseguito nel 1987 ha liberato dallo strato di calce che li ricopriva altri affreschi, molti dei quali però sono poco riconoscibili.

4. GLI AFFRESCHI E LA VITA DEI SANTI A LORO CONNESSI

S. ANTONIO ABATE CON OFFERENTE (XIV sec) (251 – 356)

Tutte le cose di questo mondo si comprano a giusto prezzo o si scambiano con altre di pari valore; invece, la certezza della vita eterna si acquista a bassissimo prezzo. Sta scritto infatti: “I giorni della nostra vita arrivano a settant’anni, per chi è molto robusto a ottanta, e la maggior parte della vita è fatica e afflizione”. Perciò, se conducessimo vita ascetica per ottant’anni o anche per cento, non regneremmo già per altri cento, ma, invece di un secolo, regneremmo per secoli senza fine. (sant’Antonio abate) La popolarità di questo santo anacoreta aveva varcato i confini dell’Egitto, dov’era nato nel villaggio di Come, già mentre era in vita; lo stesso imperatore Costantino ricorreva a lui per consiglio. Dopo la sua morte, avvenuta in un monastero vicino al Mar Rosso, l’Europa cristiana ebbe un nuovo modello di vita, la voglia di solitudine. Antonio era nato da una famiglia agiata. A vent’anni si liberò della cospicua eredità distribuendola ai poveri; aveva preso alla lettera il consiglio di Gesù: “Se vuoi essere perfetto, và, vendi ciò che hai e dallo ai poveri…”. Si ritirò poi in un posto solitario e poco ospitale, quindi si allontanò per vivere in totale solitudine nel deserto, seguito poco dopo da altri giovani. Nasceva così il monachesimo che tanto influsso avrà nella storia medievale. L’austero anacoreta non si sottraeva però al dovere di spartire con il prossimo i doni della sapienza; così, su invito del vescovo di Alessandria, Atanasio(10), si recò un paio di volte in questa città per far chiarezza nella disputa teologica contro gli ariani, che era costata al battagliero vescovo l’esilio per ben cinque volte. Il mite anacoreta e il focoso polemista, uniti nella lotta per la verità, finirono col trionfare. Sant’Antonio è invocato come protettore degli animali domestici e contro la dolorosa erisipela, detta “fuoco di sant’Antonio”.

SANTA APOLLONIA E CASTIGLIO (1440)

Al giorno d’oggi Santa Apollonia non è una santa molto famosa. Non è ricordata nel Breviario Romano, non è studiata per particolari carismi, per opere che avrebbe scritto o creato. Tuttavia è stata molto venerata nella tradizione della Chiesa, soprattutto a livello popolare. Ne danno testimonianza le sue innumerevoli raffigurazioni e le molte chiese ed oratori a lei dedicati in tutta Europa. I particolari della sua vita ci sono sconosciuti. Siamo, però, bene informati sul suo martirio. Infatti Eusebio, nella sua “Historia Ecclesiastica” riporta un brano di una lettera del vescovo Dionigi di Alessandria indirizzata a Fabio di Antiochia, in cui parla di alcuni fatti avvenuti durante la persecuzione scoppiata prima di quella di Decio, dei quali era stato testimone. Scrive Dionigi: “Tutti si gettarono sulle case dei cristiani: ognuno entra presso di quelli che conosce, presso i vicini, saccheggia e devasta; portano via nelle pieghe delle vesti tutti gli oggetti preziosi, gettano via o bruciano le cose senza valore…I pagani presero poi l’ammirabile vergine Apollonia, già avanzata in età. Le colpirono le mascelle e le fecero uscire i denti. Poi, avendo dato fuoco ad un rogo fuori della città la minacciarono di gettarcela viva, se non pronunziasse assieme a loro parole empie. Ella chiese che la lasciassero libera un istante: ottenuto ciò, saltò rapidamente nel fuoco e fu consumata”. Il martirio sarebbe avvenuto nel 249, ad Alessandria d’Egitto. La Santa vergine doveva essere nata alla fine del II secolo, o all’inizio del III, poiché Dionigi la descrive come già in età avanzata al momento della persecuzione. Il culto della Santa si diffuse presto in Oriente, più tardi in Occidente. La sua festa attualmente viene celebrata il 9 febbraio. È stata beatificata il 7 luglio 1967. Sotto alla santa, nell’affresco, vi è un cartiglio con un preghiera dedicatoria per non essere afflitti dal mal di denti. Essa è scritta il latino, in caratteri gotici.

TESTO ORIGINALE

“VIRGO MARTIR EGREGIA
PRO NOBIS APOLLONIA FUNDE PRE
CES AD DOMINUM UT TOLLAT OMNE NO
XIUM NE PROREATU CRIMINUM MOR
BO VEXEMUR D(EN)CIUM ORA PRO NOBIS
BEATA APOLLONIA UT DENTUR NOBIS
SEMPITERNA GAUDIA. ETERNE
AC (FOR)TISSIME DEUS QUI AD TOLERANDA
PRO TUI NOMINIS GLORIA CARNIS 
SPIRITU FORTITUDINIS ELECTOS TUOS
ROBORARE NON DESISTI CON(CE)DE QUESUMUS
UT QUI BEATE APOLLONIA VIRGINIS AC MARTI
RIS TUE QUA EXCU(S)SIS PRO TUI NOMINIS
CONFESSIONE DENTIBUS MEMORIAM FACIM
US PRECIBUS EIUS ET MERITIS A DOLORE
DENCIUM ET AB OMNI PERICULO ANIME
CORPORIS PROTEGI AC ERIPI (IMP)ETRA
MUR, PER DOMINUM + MCCCCXXXX”.

TRADUZIONE

“O VERGINE EGREGIA MARTIRE
APOLLONIA, RIVOLGI PREGHIERE PER NOI
AL SIGNORE AFFINCHE’ CI TOLGA OGNI DANNO,
PER NON ESSRE AFFLITTI DALLA 
MALATTIA DEI DENTI A CAUSA DELLA COLPA 
ORIGINALE. PREGA PER NOI, O BEATA 
APOLLONIA, AFFINCHE’ CI SIANO SEMPRE 
CONCESSE SEMPITERNE GIOIE.
O ETERNO E FORTISSIMO DIO, CHE NON
CESSASTI DI RAFFORZARE I TUOI ELETTI A
SOPPORTARE ( I MALI) DELLA CARNE CON
SPIRITO DI FORTEZZA, PER LA GLORIA DEL 
TUO NOME, CONCEDI, TE NE PREGHIAMO, 
CHE NOI FACCIAMO MENZIONE DELLA
BEATA APOLLONIA VERGINE E MARTIRE 
PER I DENTI TURPEMENTE STRAPPATI PER 
AVER FATTO PROFESSIONE DEL TUO NOME, 
(CONCEDI) PER LE SUE PREGHIERE E PER I 
SUOI MERITI, CHE NOI SIAMO LIBERATI E 
PROTETTI DAL DOLORE DEI DENTI E DA 
OGNI PERICOLO DELL’ANIMA E DEL CORPO.
NEL NOME DEL SIGNORE 1435”.

STORIE DI SAN GIULIANO (1440)

La fonte storica che aiuta a conoscere le leggende dei santi è la Leggenda aurea di Jacopo da Varàgine. Si narra dunque che un giorno durante una caccia, un cervo predisse a San giuliano che avrebbe ucciso i genitori. Il giovane, spaventato, non tornò a casa. Andò lontano e fece fortuna sposando una castellana, vedova e molto ricca. I genitori non vedendolo tornare, si misero in viaggio per rintracciare il figlio. Finalmente giunsero stanchi al castello, dove la moglie di Giuliano, quando seppe che erano i genitori del marito, in sua assenza, li ospitò nella propria camera. “Si che – narra Jacopo da Varagine – fatta la mattina, la castellana se n’andò alla chiesa e Giuliano tornando entrò in camera quasi come volesse isvegliare la moglie sua; e veggendo dormire due insieme, pensò che la moglie fosse con un adultero; chietamente trasse fuori la spada e ambedue li uccise. Per scontare il terribile e involontario delitto, Giuliano, seguito dalla moglie fedele, lasciò il castello; fondò lungo la riva del fiume un ospedale per pellegrini, fini a che, nella veste di pellegrino, giunse un angelo che gli disse: O Giuliano, il Signore mi mandò a te a dire ch’egli ha accettato la tua penitenza e ambedue dopo poco tempo dormirete in pace”. …La storia vera dice che questi due santi, Giuliano e la moglie Basilissa, vissero alla fine del III secolo in Egitto e si dedicarono all’assistenza dei malati. Morirono martiri durante la persecuzione di Diocleziano il 304 d.C.


NOTE:

1 Commissione Franceschini, Legge 24. 4. 1964 n 310.
2 C. Cipolla, Chiesa di Erbedello nel Comune di Isola della Scala, in “Foglio periodico della Prefettura di Verona”, anno 1882, Relazione della Commissione Conservatrice dei Monumenti, oggetti d’arte e antichità.
3 Ibidem.
4 Le prime notizie documentarie riferite all’abazia di San Zeno Maggiore di Verona risalgono all’807. Il monastero crebbe rapidamente negli anni fino a rendersi indipendente dal vescovo e meritarsi donazioni e privilegi da sovrani e imperatori. Con l’avvento della signoria scaligera iniziò la decadenza della potente abazia. Nonostante ciò, nel 1392 ad essa arano rimaste le giurisdizioni su San Pietro in Monastero, Moratica, Roncolevà, Granarolo, Erbè, Pastrengo, ecc.
5 Nel 1797 da parte di Napoleone Bonaparte.
6 Maurizio Caloi, Erbedello: storia e arte, in “Costruire insieme” n. 7,8,9,10,11,12,13,14,15,16, Parrocchia di Erbè.
7 Due appartenenti a questa famiglia, e precisamente Carlo Rezzonico, il futuro Papa Clemente XIII, e suo nipote omonimo, furono Abati Commendatari dell’Abazia di San Zeno dal 1740 al 1758 il primo, da tale data in poi il secondo.
8 Nella seconda metà del XIV secolo viene raffigurata seduta su di un trono in legno, con i braccioli alti e lo schienale che finisce a punta dietro la testa; successivamente l’intera composizione si articolerà con la presenza di Santi e devoti.
9 Fu il Simeoni che per primo, nel 1909, li attribuisce a Giovanni Badile, ipotesi ripresa anche in studi successivi.
10 Santo che scrisse la biografia di Sant’Antonio.


BIBLIOGRAFIA:

* Sandrini, La chiesa di Santa Maria Novella in Erbedello: caratteri di un’architettura “minore” in ambiente rurale.
* Chiappa, Una chiesa soggetta a san Zeno: S. Andrea e S. Michele di Villimpenta.
* R. Scola Gagliardi, Di alcune giurisdizioni e proprietà fondiarie di San Zeno nel Veronese e nel mantovano.
* Cassa di risparmio di Verona, Vicenza e Belluno, IL TEMPO E LA STORIA 2, I segni della Verona romanica, Verona, 1987.
* Comune di Erbè, ERBEDELLO, UNA CHIESA DA RISCOPRIRE E DA SALVARE, immagini e rilievi, Erbè, 1984.
* S. Garzotto, La pieve di Santa Maria Novella di Erbè, Tesi di laurea in storia dell’arte medievale, Padova, 1974-75.
* M. Sgrò, Gli affreschi nella chiesa di Santa Maria Novella in erbedello, Tesi di laurea in storia dell’arte medievale, Bologna, 1996-97.
* Scuola media “Dante Broglio”, ricerca storico – artistica “La chiesa di Santa Maria Novella di Erbedello”, Sorgà, 1988-89.
* Verona fedele, articolo “Dentro lo scrigno trovi gli affreschi”, Verona, 26 Ottobre 2003.
* M. Sgarbossa, I santi e i beati della chiesa d’Occidente e d’Oriente, Ed. Paoline, Milano, 1998.
* Ricerca su Internet, Siti Cattolici (vita dei santi).
* Fotografie esterne offerte gentilmente dalla PRO LOCO di Erbè.
* Fotografie interne scattate personalmente.