Omelia dell’Abate Garzotti

Riportiamo integralmente il testo dell’omelia tenuta durante la messa di domenica 24 novembre 1878 dall’Abate Pietro Garzotti in occasione del mancato attentato al Re Umberto I avvenuto a Napoli per mano del cuoco Giovanni Passanante. L’Omelia venne pubblicata dalla Tipografia San Giuseppe di A. Merlo. Copia si trova presso l’archivio parrocchiale di Isola della Scala.

Parole dette al clero Magistrati e popolo, Dell’Insigne Parrocchia, D’Isola della Scala
Il giorno 24 novembre 1878, Dall’Arciprete Abate Don PIETRO GARZOTTI
PRIMA DELLA SOLENNE AZIONE DI GRAZIE, A DIO, PER LA SALVEZZA DI SUA MAESTA’, RE UMBERTO

Al deplorevole avverarsi d’un grande misfatto, è impossibile non insorga commossa la coscienza umana.
Che se il delitto abbia osato violare non le private, ma le ragioni pubbliche; non un vulgare individuo, ma un personaggio rivestito d’altissima autorità; e se questi sia il Capo dello Stato, la persona istessa sacra del Sovrano, del Re: oh! egli è allora, che il popolo intero, generoso ne’ suoi slanci, giusto ne’ suoi giudizi, perchè credente ne’ suoi dogmi, associandosi spontaneo ad ogni classe di persone evangelicamente oneste, pronuncia il suo tremendo verdetto ed imprime il sigillo d’infamia sulla fronte al miserabile delinquente!
E noi tutti, quanti siamo raccolti in questo Tempio cattolico, non ci siamo ancora potuti riscuotere dalla sorpresa angosciosa accasciante, destata in noi all’annunzio doloroso, che un vile assassino, simulando la preghiera del supplicante, stando sulla piedella della reale carrozza, vibrò il pugnale coperto di sanguinaria divisa al cuore di Sua Maestà Umberto I nostro graziosissimo Sovrano, mentre una folla lo acclamava, mentre stendeva la sua mano benefica a raccogliere le domande de’ bisognosi!! Oh! Dio! Quella belva sotto umane sembianze non si fu mansuefatta nemmeno alla vista della giovine e mite Regina: non ne disarmò la mano omicida nemmeno lo sguardo inconscio e l’innocente sorriso del caro Augusto Fanciullo, che siedeva di fronte: chè avrebbe ad ogni patto voluto rendere vedova l’una ed orfano l’altro: non ostante gli sforzi generosi del Ministro, che della sua persona aveva fatto scudo al petto del suo Signore!
Ah! lungi, lungi da noi cattolici la bieca, vulgare, infelice e troppo ripetuta calunnia….! Dessa uscita dalla Senna, si rituffi nel fango della Senna, nè osi più mai lordare le nostre fronti incontaminate!
Noi detestiamo l’assassinio per principio di dottrina, per coscienza, per cristiana carità e per quel santo timore, che sola ispira la nostra fede: non per isterile sentimento umanitario: non per ripiego di convenienza: non per espediente del momento. No: viva Dio! Non siamo noi, che gettiamo lazzi inverecondi alla Maestà de’ Regnanti …! Non siamo noi, che attendiamo alla sicurezza degli Stati …! Non siamo noi, che andiamo a deporre i nostri fiori sulla tomba de’ Regicidi…..! Sebbene non abbiamo bisogno di discolpa…
Lasciando quindi al altri lo studiar di proposito le vere cause de’ funesti fatti, che, di questi tempi, si vanno ripetendo conformi tra popoli differenti d’indole e di reggimento; lasciando anche a’ ciechi il giudicare donde e da chi attingano stabilità e forza gli Stati civili; noi segnaliamo con piacere, che da Napoli a Palermo, da Palermo a Genova, da Genova a Torino, a Firenze, a Milano, a Venezia, a Verona, dapertutto nelle Città e nelle Provincie sorse una viva protesta contro l’orribile delitto ed eccheggiò un inno pietoso all’Eterno, che, preservando incolume il Re, con l’infamia eterna, risparmiò all’Italia la finale catastrofe! 
Come dalle cento città all’invitto de’ Presuli infulati; come da migliaja di parrocchie a quello de’ venerandi Pastori scoppiò unanime un grido di esecrazione contro il nefando attentato e concorde salse un’azione di grazie al Supremo Dator di ogni bene, che sovrasta ad ogni terrestre potere; e quì da noi or farassi altrettanto.
Noi qui tutti insieme nell’unità della fede, Magistrati e Popolo, contenti, anzi orgogliosi di quest’unica eguaglianza, che tutti senza confusione e disordine godiamo a’ piedi di questi altari, ringraziando il Signore del pericolo scampato e dal Re e dalla Patria comune, raffermeremo il nostro cristiano inalterabile attaccamento all’Eroica Famiglia di Savoja, il nostro ossequioso riverente affetto al Reale suo Capo, alla gentile sua Sposa in uno al Loro Ereditario Rampollo.
E così fie manifesto ancora una volta, che non è no naturale, ma violento il detestabile divorzio voluto fatalmente effettuare tra l’Altare ed il Trono, tra il Presbiterio ed il Palazzo del Comune, tra la Chiesa e lo Stato!
Giova sperare, che, come suole in famiglia, che un’improvvisa sciagura, dissipando i mali umori, raddoppi e stringa più saldi i nodi di concordia domestica; così tutte le membra sane dell’Italiana Famiglia, mettendo insieme i loro sforzi, procureranno la verace riparazione!!
Oh! che spunti presto quel giorno, nel quale, ricondotte Religione e Giustizia, rianimati gli spiriti verso il bene, soddisfe le ragioni di Cesare e di Dio, ogni cittadino si trovi a bell’agio nello stato, in che Provvidenza l’ha collocato, sotto all’egida di savia legislazione, che sia il riflesso del Decalogo!
E ciò avverrà sicuramente, se sia fatta piena libertà alla benefica influenza della Chiesa, rappresentata dall’alta mente del glorioso infallibile Maestro il Pontefice di Roma!
Faccia Iddio, che questo esser possa il solo utile e veramente pingue retaggio da lasciare a questa generazione novella, che surse o va spuntando tra questi ormai troppo lunghi commovimenti!!
Tutte queste benedizioni conceda a noi largamente la Divina Misericordia, cui andiamo ora a sollecitare nell’urgente bisogno!