Durante la Seconda Guerra Mondiale in Italia vennero realizzati circa 60 campi di prigionia che avevano il compito di detenere i prigionieri di guerra alleati. Si trattava, perlopiù, di soldati di lingua inglese e dei loro alleati: britannici, americani, australiani, canadesi, indiani, neozelandesi e ciprioti. I prigionieri presenti nei campi italiani erano soldati alleati catturati dai tedeschi soprattutto sui campi di battaglia africani. Il criterio di ripartizione si basava sulla previsione che i soldati catturati nel Mediterraneo fossero assegnati all’Italia e quelli catturati in Europa alla Germania. La storia e le vicende di questi campi non sono ricordate con piacere da nessun Paese o esercito, in quanto parlare di questo argomento vuol dire parlare delle sconfitte e descrivere le modalità detentive con cui erano trattati i prigionieri. Vigeva un principio di reciprocità in base al quale il trattamento riservato ai prigionieri doveva essere lo stesso che ci si aspettava dai nemici nei confronti dei propri connazionali catturati. Il principio di reciprocità trovava la propria base giuridica nella Convenzione di Ginevra del 1929 che disciplinava le condizioni di trattamento dei prigionieri di guerra.
A causa dell’impreparazione nell’entrare nel conflitto, l’Italia non fu mai in grado di rispettare appieno le norme internazionali. I prigionieri di guerra furono sempre una questione inatteso e quindi difficilmente gestibile.
La gestione dei campi era assegnata allo Stato Maggiore dell’Esercito; questi erano distribuiti su tutto il territorio nazionale e si ottennero riadattando edifici preesistenti come monasteri, castelli e strutture industriali. Erano identificati con un numero, in modo da non permettere l’identificazione della loro posizione geografica. Furono tre le tipologie di campi che vennero realizzate: campi di transito, campi di concentramento e campi di lavoro.
Nella provincia di Verona vennero realizzati dei campi di lavoro che ospitavano 250 detenuti, costretti a svolgere lavori agricoli per sopperire alla mancanza di manodopera in campagna. Il campo principale fu quello di Pol a Bussolengo, identificato con il numero 148; a sua volta aveva altri 14 campi satellite presenti in diversi comuni della provincia: Montecchia di Crosara, Lazise, San Martino Buon Albergo, Zevio, Oppeano, Bonavigo, Angiari, Legnago, Vigasio, Mozzecane e Isola della Scala.
A Isola della Scala vennero realizzati quattro campi di lavoro identificati dai numeri romani IX, X XI e XII. Si trovavano rispettivamente due in località Vo’ Pindemonte, uno presso corte Peccana a Casalbergo e uno in località Bastia presso Corte Emilei.

Porzione della corte Peccana presso Casalbergo che era stata destinata ad accogliere i prigionieri alleati.

Accanto a corte Pindemonte, in località Vo’, è presente una porzione abitativa con trebbiatoio e barchessa. Questa parte era stata destinata a ospitare i prigionieri.

Accanto a corte Pindemonte, in località Vo’, è presente un immobile dove risiedevano i contadini che lavoravano nei campi. Questa parte era stata destinata a ospitare i prigionieri.

In alcune porzioni della corte Emilei erano alloggiati i prigionieri alleati destinati al lavoro nei campi.
Testi di riferimento:
I. Insolvibile, La prigionia alleata in Italia – 1940/1943, Viella libreria editrice, Roma, 2023.
Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, 27 luglio 1929.