Versi

Riportiamo di seguito le poesie contenute nel Versi scritte dalla Professoressa Anna Pinelli dal 1906 all’agosto del 1921


Tramonto di primavera

Ultimo raggio del morente sole,
Che t’indugi amoroso all’orizzonte,
Oh, come smorto d’un pallor di viole
Avvolgi a me la pensierosa fronte!

Sole di Dio, non v’è raggio nell’alma,
Fede non v’è nella virtude umana;
Sole, vorrei per un istante, calma
Trovarmi dalla vita in te lontana.

Vorrei dimenticar, vivere un’ora
Di benedetto e riposante oblio,
Dimenticare il mal, che m’addolora
Per affissarmi unicamente in Dio.

Sole, vorrei nella tua luce santa
Assopirmi così, senza ritorno,
Sì che, doma non già, dal duolo infranta
Mi ritrovasse, risorgendo, il giorno.

30 marzo 1919


Ombra

O bontà, nome vano, ombra fallace!
Io t’ho creduta e tu non esistevi!
O solenne mentir che si compiace
Nel tormento de’ nostri giorni brevi!

No, tu non sei; veduta t’ho svanire
Prima, d’intorno a me, ne’ cuori amati; 
Or parmi già nell’alma di sentire
I palpiti languir da te ispirati.

Deh! non fuggirmi! L’anima in tortura
Se tu mi lasci, un dì sarìa crudele,
Come chi ne calpesta senza cura,
E ne amareggia di cotanto fiele.

Oh! ch’io non sia malvagia mai! Svanendo
La bontà da ogni petto, in me s’accolga; 
Ed il contrasto della vita orrendo
La cara illusion non mi distolga!

15 ottobre 1919


Sabato sera

Campane a sera, che cullate il pianto
Delle memorie mie, de le speranze,
Che travolse con sè l’ora fugace;
Campane a sera, voci di rimpianto,
Che parlate di meste lontananze,
Di cari, che raggiunsero la pace,

Ne le tombe lontane, ne la sede
De l’infinito; mentre voi la festa
Di domani annunciate al monte e al piano,
A me in core la lotta si ridesta
Contro la sorte e il mio tormento arcano.

Omai mi sento simile a un’offerta
Sparsa, fumante sovra de l’altare,
Simile a foglia inaridita e pésta…
Oh, quando in lieve spirto io mi converta
E possa finalmente al Ciel volare,
Anche per me sarà sorta la festa!

settembre 1918


A sera

Oh, come tristi e come vuoti gli anni
De la mia vita volano!
E come insopportabili gli affanni
Che le mie forze rodono!

Tutto che si dilegua mi tormenta,
Ed il lavoro inutile,
Che l’indomito cor su l’ora tenta,
Su l’ora irrevocabile.

Ormai, se trasvolò l’ora che vale
Lo stemperarsi in lagrime,
Del memore pensier protese l’ale
A ciò che fu manchevole?

Gioia non v’è, non v’è nel mondo un bene,
Che il duolo non contamini,
Con il rimorso o d’incompiuta spene
Con senso indefinibile.

Tremule e inaridite su lo stelo
Come le foglie cadono, 
Così, percosse omai d’arido gelo,
Nel cor le spemi muoiono.

Garda, ottobre 1919


In memoria de la defunta Filomena Pinelli

Come eterni sono i fondamenti
gettati sopra salda pietra, così i
comandamenti di Dio nel cuore
d’una donna santa.

Eccl. XXVI-24

Anche tu fuori de l’asil paterno,
O zia diletta, sei per sempre uscita;
Chè ti chiamava da quel triste inverno
La madre da la sua tomba romita.

Io te non piango, ma mia dura sorte
Che di vederti in terra omai mi vieta;
Io te non piango; ti baciò la morte,
Per renderti più libera e più lieta.

Or la casa deserta è fatta e mesta;
A cercarti verrò nel Camposanto:
Questo di tanto affetto oggi mi resta:
Fiori versar il tuo avello e pianto.

Io te non piango: da l’asil paterno
“Nido d’amore costruito invano”
Passasti a l’infinito gaudio eterno,
Che non comprende l’intelletto umano.

Sempre sul declinar triste del giorno,
E quando alla mattina il ciel s’imbianca,
A te, diletta zia, farò ritorno,
Che mi sorridi da la tomba bianca.

Febbraio 1909


Ai miei morti

… qui credit in me, etiam
si mortuus fuerit, vivit

Quando la squilla vespertina al pianto
L’animo triste invita,
Io vado all’uno e a l’altro Camposanto
De la mia terra avita.

Sempre, Morti, su voi risiede il pensiero,
Con memore desìo:
Ritorna a l’uno e a l’altro cimitero
Del paese natìo.

La piena dei ricordi ‘l cor m’invade
Del tempo che non torna,
Di voi viventi e di mia verde etade,
Solo di spemi adorna.

Un giorno, anch’io discenderò, diletti,
Nel torbido mistero,
Che s’asconde fra i mille cataletti, 
Orribilmente nero.

Un dì verrò; con voi ritorna intanto
Ognora la mia mente;
Con voi, che riposate in Camposanto,
O Morti di mia gente.

Ma, o miei diletti, più che al vostro frale,
Che giace senza vita,
Volgo sovente del pensier mio l’ale,
Volgo la mente ardita.

A lo spirito vostro, a Dio congiunto,
Dopo la lunga spene,
Libero alfin, felice d’esser giunto
Presso l’eterno Bene.

Al soprannatural l’anima mia
E lo spirito anelo
Ricongiungersi a Dio solo desìa,
Con voi, Morti, nel Cielo.

1909


Ultime voci

Suona l’Ave a la valle e d’ogni intorno
E’ come un’ombra cupa di dolor:
Lentamente si va spegnendo il giorno,
Dietro alle cime sfuma il sole e muor.

Fischiando passa il treno e fugge via;
Torna dagli arsi campi il buon villan,
E un canto, pieno di malinconia
Affida a la nativa aura de’ pian:

In fra gli alberi stridon le cicale;
Monotono ne’ fossi è un gracidar;
Cantan gli augei, su i rami ferme l’ale,
L’ultimo raggio quasi a salutar.

Suona l’Ave a la valle; una gran pace
L’anima invade, un religioso amor;
Mentre ne la campagna tutto tace,
Suona la squilla vespertina ancor.

1906


Alma Poesis

Ecco, passa il poeta; egli è il sovrano,
Lo scrutator d’ogni mistero umano.

Ei ne dirà tutto l’arcan consenso
Del duolo universal; tutto ‘l compenso

Ch’offre la vita a chi, nel pianto, spera
E le tenebre orrende vincer sa,
Vedendo balenargli in altra sfera
La desiata invan felicità.

Ecco, passa il poeta: è il sacerdote, 
Che canta e piange in mistiche sue note,

Che d’ogni fango ad onta e d’ogni male,
Sancisce la virtù dell’ideale.

1919


Notte senza luna sul lago

Come un immenso palpito anelante
Verso la gioia viva de la luce,
Ne la lunare alba tremolante
La distesa del lago ampia riluce.

Ma precipita l’ora e in ciel s’addensa 
Folto di nubi e di vapori un velo;
La luna il lume suo più non dispensa
E l’onda è nera, perchè oscuro è il cielo.

O luna stanca, o palpitare ardente
Dell’acqua azzurra verso il raggio blando,
Spesso verso così un evanescente
Sogno di luce l’anima anelando,

Vergine e grande, tutta si protende
Ed in attese splendide s’insidìa…
Ma solo il buio orribile l’attende
E di deluse spemi l’agonia.

Garda, agosto 1919


In un vecchio cimitero campestre 

Quanta pietà destate nel mio cuore
Povere zolle ne l’oblìo lasciate!
Quante storie d’angoscia e di dolore,
Con un muto linguaggio a me narrate.

Ah! perchè tante cure e tanto ardore,
Tante larve fuggenti accarezzate,
Se tutte giaceranno nell’orrore
De la tomba le salme abbandonate?

Molce lo spirto che sospira e geme
Di pace arcana un’aura benedetta,
Fra tante croci misere, neglette,

Quando su l’ali de l’eterna speme
Fiducioso s’eleva e il premio aspetta
Che Dio concede a l’alme predilette.


In cimitero 

Poserò qui: nel limpido zaffiro
Che mi sovrasta è un alito di pace:
Lieve ai miei sensi anche il sospiro
Di chi nel sonno de la morte giace.

Salve defunti! Pure a me svaniro
Ad una, ad una le speranze: tace
Di vita omai nel petto ogni desiro
E sol di morte l’alma si compiace.

Poserò qui: la vita in cimitero
Fra le tombe ed i salici piangenti,
Mi si presenta ne l’aspetto vero:

Trama sottil dì fuggenti,
L’un più che l’altro orribilmente nero,
Impari lotta d’uom contro gli eventi.

Garda, settembre 1917


Notte lunare

Se da l’alto del ciel la luna imbianca, 
Lago, lo specchio tuo, che immoto giace,
Della mia triste giovinezza stanca
Tu mi sembri l’image verace.

Al dolce aspetto tuo, che il cor rinfranca
Una fida chiedevo ora di pace…
Lenta passa nel ciel la luna bianca,
Ma la cura affannosa anco non tace:

Rugge ne l’alma la tempesta nera,
Nè mi vien da la calma tua conforto,
Chè l’orizzonte ognor più mi si annera.

Doman ti lascerò per altro porto;
L’ultima ch’io ti miro è questa sera,
E un giorno a me di ben mai non è sorto!

Garda, 16 settembre 1917


Casa deserta

Triste la casa, ove nessuno attende,
Ove non brilla raggio di sorriso,
Dove l’occhio materno non risplende,
Nè vedo di mio padre il dolce viso!

Casa diletta, un dì mio paradiso,
Altrove bisognò portar le tende,
Poi che gli artigli suoi il nimico inviso
Su l’itale contrade – ahimè! – protende.

Però non passa dì ch’io non ti venga,
Fin che lo posso, a contemplar di fuore,
Perchè la vista tua lo cor sostenga.

Ne lo schianto di questo rio dolore;
Sino a quando sarà che a te rivenga,
Pellegrina mestissima d’amore?…

Verona, 11 novembre 1917


Stella cadente

Io la vidi, cadde fulgida,
Sparve al lago quasi in seno;
Nè turbò del celo splendido
La caduta il bel sereno.

Anche a me cade giù trepida
Una lagrima dal ciglio
E del cor nel lago perdesi,
Dove nero è lo scompiglio.

De la stella chi mai curasi?
La mia lagrima chi vede?
Perch’io piango, un raggio a l’anima
Di speranza forse riede?

Pianto e sangue dal cor stillano,
Stella lascia i firmamenti;
Ma nè l’astro, nè la lagrima
Han poter sopra gli eventi.

Garda, settembre 1917


Exules in valle!

“Rechi la patria in sè chi l’ha perduta”
BERTACCHI

Rechi la patria! rechi il senso buono
De la casa paterna, de i goduti
Beni d’un tempo, de la squilla il suono,
Il profumo de l’aria, i dì vissuti

Presso i sepolcri noti. E al triste dono,
Unico ben concesso agli sperduti,
Al ricordo dei dì che più non sono,
Al nostalgico senso di saluti,

Quasi concento d’anime partenti
Che gli sale dal cor, che gli richiama,
In un amor che vince ogni soffrire,

Dolci profili e forme evanescenti,
Al passato superstite, ch’egli ama,
Chieda l’esul virtù, per non morire.

Verona, novembre 1917


Resurrectio!

“S’il faut recommencer, nous recommencerons”

O cara Italia, del dolor ne l’ora,
Come è degno di te raccor le sparte
Forze e temprarle al rifulgente sole
De l’avvenire!

La suggestiva gravità de l’ora
Ad impeto di amor tutti trascina,
E adorata mai non fosti tanto,
Martire invitta!

Or che fu salcio, convertito è in quercia
Ed in fiero leon l’imbelle agnello;
Tutti trovar nelle loro vene il puro
Sange romano.

Chi sono? I morti, i mutilati, i bimbi,
Senza il paterno bacio e le deserte
Vecchiezze de’ padri e le dolenti
Vedove spose.

Questo è l’amore: s’alimenta il fuoco
Sacro di pianto e a mille su l’altare
De la Patria fur posti il olocausto
Brani di cuori.

Ma vive il cuore uman vita d’un giorno
I destin della Patria eterni sono;
Vinti, caduti, noi saremo sempre
I vincitori.

Molto ti demmo e più daremo ancora,
Patria; tutto per te, senza rimpianto
Dolce è lasciare ed è nel nome tuo
La morte dolce.

E tu risorgerai più forte e pura,
Alto levata su i calvari nostri,
O cara, o dolce, o gloriosa sempre,
Italia mia!

Dicembre 1917


A V. M.

13 aprile 1904 – 13 aprile 1924

Quando nascesti era l’aprile e intorno
Tutta olezzo di fiorni la natura…
Or dieci volte e dieci fe’ ritorno
A’ tuoi colli toscani la verzura.

Volgiti indietro e ridi al tuo bel giorno,
Che nell’eterna luce s’infutura,
Poi che l’ha il pianto di sue gemme adorno,
Poi che dal male l’alma tua fu pura.

Altri creda che il tempo voli al nulla
E che la lotta che duriam sia vana…
Verso la mèta tu, che in Ciel sfavilla

Leva lo sguardo, dove il genio brilla,
E confortin la tua sera lontana
L’innocenza e il candor della tua culla!


A Belfiore

(dove mi condusse mio Padre il 27-XII-1917)

“…fulgente Belfiore, ara di martiri”

Nebbia nel cielo: anche su l’anima
Steso è un velo d’agonia;
Nel mio cor risento i palpiti 
De la dolce scorta mia.

Ecco, appare l’ara fulgida,
Ecco il sacro monumento,
Ecco il luogo, dove impavida,
Fino a l’ultimo cimento,

Cadde oppressa dal carnefice
E la morte con la morte
Vinse, in una fede eroica,
La magnifica coorte.

Due sublimi il cor mi vincono
Vision, quasi divine:
L’ara sacra, su cui piegasi
Il paterno, argenteo crine.

Rompe il sol le nubi; il tumulo
Di sua luce eterna investe;
Così Dio suole por termine
De la Patria a le tempeste.

Oggi ancor de’ nostri màrtiri
Non è chiusa la stagione…
Fino a quando de l’Italia
Durerà la passione?


I mutilati partono per il fronte

Anime grandi! muore a me nel pianto
Muore la voce e trema nel cor mio
Un confuso di sensi arcani incanto,
Di celebrarvi un fervido desìo.

O de la Patria mia fulgido vanto,
Deh, vigili su voi clemente Iddio,
Poi che vi freme in petto amor cotanto
e di voi stessi un sì sublime oblìo.

Oh, non per voi le pene de gli esigli,
Non la vergogna de’ violati lari
E non legge straniera a’ vostri figli!

Prima tutti morir! provar gli amari
Morsi de la fortuna e de’ perigli,
Prima trafitti cader da ostili acciari!

Verona, dicembre 1917


Aeroplano di notte

Su la città dormente il prode veglia
Figlio d’Italia, sollevato a vol;
Con la sola presenza, egli sorveglia
E fuga de’ notturni il vile stuol.

Vigila il sonno de’ vegliardi stanchi,
Che non li desti il barbaro furor;
Degli innocenti, ne’ lettini bianchhi
I soavi protegge sogni d’or.

Ma su colei che l’ha vegliato infante
L’ali d’argento stendere non può…
L’alma lo porta al casolar distante,
Ove la vecchia mamma un dì lasciò.

Mentre vigila il sonno de’ fratelli,
Anche lo veglia un trepidante amor,
Chè, ne l’angoscia insonne, ognor novelli
Teme cimenti di sua madre il cor.

L’alma protesa a l’eliche veloci,
Che a la conquista salgono del ciel,
Veglia la madre e contro de’ feroci
Colpi l’adombra in amoroso vel.

Ei s’eleva e contempla, ognor più lieve,
La dormente città sotto di sè…
Oh, vigilar potesse il sonno breve
Pur di colei che a tanta gloria il diè!

Maggio 1918


Scena intima

Scrivo: qui presso a me Babbo riposa;
Mdito un tema tormentoso e stanco,
Palpita il core ed il cervel di posa
Avrebbe d’uopo, ma mio Padre al fianco

Quando mi vedo, non son più ritrosa
Al lavor de la mente e nel creato
Tutto mi sembra un rifiorir di rosa,
Sol ch’io miri quel capo venerato!

Scrivo senza fatica ed il pensiero
Alacre mi diviene, vivo, aperto
De l’arte a concepir tutto il divino!

Quanta luce rispelnde sul sentiero, 
Cupo sovente di mia vita ed erto
Sol che tu, Padre mio, mi sia vicino!

Giugno 1919


Primavera

Primavera ritorna e la temuta
Stagion ne l’alma mia
Ridestandomi va l’ambascia muta,
Che lunga ora sopìa.

Triste risveglio de gli eterni amori,
Che tua letizia ostenti
Nel cielo di cobalto e in vaghi fiori
Per i giardini aulenti;

Triste stagion, che porti a questa stanca,
Dolente anima mia?
Un senso per il ben, che omai mi manca
Come nostalgia.

Dammi, dammi i tuoi fiori, o primavera,
Per adornar le tombe…
Ma il tuo sole non vince l’ombra nera,
Che a la mia mente incombe.

Verona, aprile 1918


Veglia

Rompe de l’aura la silente pace> Il rintocco de l’ora: di lontano
Viene a’ miei sensi il rombo di vivace
Onda che scende al piano.
Che rompesi nel core? e ne le cose
Che palpito s’ascolta? la fuggente
Ora sen va, figure dolorose
Portandomi a la mente.

Vengono a me che aspetto, e sempre invano,
Essi che più non son, dal camposanto
E mi si indugia il core in un lontano
Tempo, ignaro di pianto.

E lungi i vivi miei! tutti dispersi
Così, come crudel vuole la sorte…
Ne ricongiungerà, dopo i dì persi,
Più provvida, la morte?

Garda, agosto 1919


Sic orabitis

Quando a la sera (son le luci spente,
Regnan silenzio e tenebra d’intorno
E l’anima più vede e il cor più sente
Pianger la vita sul morir del giorno);

Quando, raccolti in estasi profonda,
China la testa fra le palme immote,
Scoglio saremo al fluttuar de l’onda
Di voci care, tristemente note;

Quando s’esala l’anima in lamenti,
Vittima certa de passati errori,
Vittima oscura di malor latenti,
Pregheremo così da’ nostri cuori:

O dei mesti Signor, sovra del male,
Che ne travolge un Angelo distenda
Del tuo perdono proteggi l’ale
E sovra ognuno il tuo perdon discenda!

Ecco, Signor, per noi non Ti preghiamo,
Se non che il tuo volere in noi si faccia,
Che si dilegui del corrotto Adamo
Ne l’alma nostra anche una lieve traccia;

Ma noi preghiam pei miseri, pei soli,
Per il dolor che si ribella e freme;
Per chi non ama Te, che l’uom consoli;
Per chi lotta, incapace d’una speme.

Più Ti preghiam per chi non trova un cuore,
Su cui posar la fronte che gli scotta;
Per chi, superbo, insiste nell’errore,
Che lo trascina in perigliosa rotta:

Noi per la luce, che la nebbia infosca;
Per la purezza, che la serpe eterna
Col venefico morso o sfiora, o attosca;
Noi per la pace, ne la lotta odierna.

Ma sopra tutto Ti preghiam, Signore, 
Accogli il nostro voto più fervente,
Tu che sudasti sangue per l’amore
De’ tuoi nemici e di ciascun credente;

Fa che noi siamo come la semente,
Che non dà frutto, se non è marcita;
Fa che noi siamo resi veramente
Degni per Te di rifiutar la vita.

Fa che nostro sentiam l’altrui dolore,
E del fratel, che di sotto il duol vacilla,
Danne il martirio, pur che sia, Signore,
Risparmiata di pianto anche una stilla!

Garda, ottobre 1920


Pasqua 1919

Perchè il sole risplenda e le campane
Liete annunziando l’inclito mistero,
Lancino a l’aria l’armonie lontane,
Di pace messaggere e perchè il fiero

Tumulto d’armi omai posi sedato,
Non io son lieta e non pace serena
A me siede nel cor, ma desolato
Regna contrasto e indefinibil pena…

Perchè, perchè? Qual mai tormentato arcano,
Quale lento morir l’anima assilla?
Ah, tutto che sognai, che amai fu in vano
E spenta è de la speme la favilla!

Perchè risplenda il sole ed un concento
Sacro di bronzi canti l’alleluia,
Non io son lieta, chè smarrirsi sento
Alma e pensiero in una notte buia.

Verona, 20 aprile 1919


Cor Cordium

Quaesivi consolantem me et non inveni

Tutta nel cor la vita: le speranze
Invan sognate e vagheggiate invano,
I trepidi desir, le rimembranze
D’un ben perduto e omai troppo lontano;

Le tempeste e l’amor, la gioia e il duolo
Del mal sofferto e quello da soffrir
Nel Cuor hanno la sede e da lui solo
Derivano le lagrime e i sospir.

Povero core uman, qual ti tormenta
Pena crudele, senza posa mai?
O povero mio cuor, che ti sgomenta,
Che più ti grava fra cotanti guai?

Tutta l’ambascia, che nel cor s’aduna
Tutta mi stringe, nè la so ridir;
Che mi spaventi ne la notte bruna
Nè il discerno, nè il posso definir.

E’ del passato acuta nostalgia,
E’ come un vago presentir di morte,
Verso un ignoto ben, che mai non fia
D’un eterno sospiro è la mia sorte.

O, più tosto, lo strazio che mi assale,
Dominando l’infranta volontà,
E’ il senso del dolore universale,
E’ il pianto immenso de l’umanità;

E’ de l’orfano il lutto e l’abbandono
Della vecchiezza sconsolata e sola;
E’ il disparir di quei che tutto sono,
E che la morte troppo presto invola,

E’ per color, che passano incompresi,
Un accorato senso di pietà
E per gli spirti deboli, sorpresi
dal gel tremendo de la realtà.

Oh quante volte dal dolor prostrata,
L’aiuto d’un conforto supplicai!
Ma chi m’abbia una lagrima asciugata
In tant’ore di pianto non trovai!

Forse vi fu chi la parola buona
Disse, ma il cor non se ne contentò;
Altri la corda, che più lieve suona
Talor tastando, per guarir, spezzò.

Forse l’arte taluno avea cercata,
Onde in pace ridur l’ansia segreta,
Ma la fibra scossa e delicata
Di conforto ogni voce fu incompleta:

Ché de gli affetti ne l’immenso mondo
E nel contrasto, che dilania il cor,
C’è qualche cosa d’intimo e profondo,
Che mente umana non saprà mai cor;

C’è come un punto che dilegua in nulla,
Quasi un lieve sentor d’indefinito,
Che più s’avverte ne la vita brulla,
Quando d’intorno a noi tutto è sfiorito.

“Cor Jesu, fons totius consolationis!”

Ma dove l’uom finisce, arriva Iddio;
Solo ch’Ei guardi, sana la ferita,
Solo ch’Ei parli, nel silenzio mio,
Dona la luce a l’anima smarrita.

Cuore divino, ch’ogni pianto sai,
Come l’ultima sera il tuo Giovanni,
Su te riposo il capo stanco omai
Per vane lotte e per rodenti affanni.

Reco, triste così, sola nel lento
Ritmo de l’ore mie aride e spente,
A te, Cuore divin, quello ch’io sento,
Quello ch’io sono, il misero mio niente.

Non Tu ne la bufera, che furente
Con rivolte e terror l’anima infesta;
Ma ne la pace sei Tu e nel silente 
Libero duol, che accetta la tempesta.

O Tu che solo non tradisci mai,
Parla e il mio pianto d’abbandon consola,
Chè tutto ciò che ne la vita amai
Vedi, Gesù, ratto da me s’invola.

Al lume del tuo amor mi si rivela
De l’immenso soffrir l’astruso arcano;
Ogni perchè de l’ombra mi si svela,
che diffondesi sopra il corso umano.

Il conforto mio vero, o Cuor, Tu sei;
Lo struggersi de l’anima che oscilla,
Spesso travolta da consensi rei
Plachi, e la lotta che la mente assilla.

Chiusa de’ giorni miei nel breve giro,
Nel mio passaggio per deserti vasti
Una parola di sentir sospiro
Che a tutta quanta l’anima mi basti.

E Tu, Cuor di Gesù, sempre la dici
A chi, gemente, a l’amor tuo si affida,
A chi, nel pianto, a’ tuoi divin auspici
Solo domanda una dolcezza fida.

Ecco son qui, con l’anima protesa
Verso la voce pia del tuo conforto
Ogni altra voce dentro me è sospesa,
Ogni altro senso tace in me, ben morto.

Parla Tu e risospingi entro a me stessa
Me delirante: si distempra intanto
La lunga ambascia dentro al cuor compressa
In un pacato distillar di pianto.

Giugno 1920


Scoramento

O profumati colli di Toscana,
Quel che vi chiedo non lo so, ma forse
D’una pia conservate eco lontana
Voce che, un giorno, al mio dolor soccorse;

E quel sentor che da le vostre emana
Coste fiorite da’ bei rivi corse
Forse è di quel ch’io cerco, de la strana
Illusion da che mai non si torse

L’anima mia per il cammin fallace:
Che dopo il lungo invan pianto versato,
Dopo le lotte combattute invano,

Preso s’accolga alfin lo spirto in pace,
Come reduce uccello al nido amato
E non mi sia l’ultimo dì lontano.

Veneri di Pescia, agosto 1921


Il 14 gennaio 1918

Cadde, infranta dal cannone austriaco la statua
della Madonna, che s’ergeva sul monte Grappa

Scesa è la Madre da quel cieco infranta
Satanico furor che tutto schianta,

Martire anch’Ella, quasi de’ suoi figli
A divider le pene de’ perigli.

Sereno auspicio! non così più soli
Contro sarem de l’oste a gli empi stuoli,

Vincer così dovrà la forza sacra,
Cui fede, amore e dritto uman consacra,

E allor che da le fumide rovine,
Da le stragi che fur senza confine,

La vita emergerà de l’ideale,
Da la materia sprigionate l’ale,

Ne la maestà del trono che di nevi
S’erge solenne tra le nubi lievi;

A custodir le terre omai redente,
Risorgerà l’Imagine imponente,

De’ Martiri non più Regina Augusta,
Ma de la gloria italica vetusta.


Per la festa della R.da Madre Superiora

19 maggio 1918 (per onomastico)

“Mulierem fortem quis invenit?”

Non mai tempesta di più orribil notte
Fu salutata con sì lieti accenti,
Non mai più cupe tenebre fur rotte
Dal balenar di luci più fulgenti.

Ora di Dio, nel popolo che premi
Susciti i santi, i martiri, gli eroi;
Ora di Dio, tu susciti le spemi,
Che vincono il crosciar de’ colpi tuoi.

Ora di Dio, ne l’animo gentile
Di Colei, che ne regge e al Ciel ne guida
Tu suscitasti una virtù virile,
Che assicura ogni cor che a Lei si affida.

Madre, se presso a Te ne volle il Cielo,
Quando parve esser giunta a la ruina
La Patria nostra e a l’ultimo sfacelo,
Ben lo permise la Bontà divina,

Perchè tu fossi a noi rifugio e porto
E pace e tregua e luminoso faro
E sorgente di vita e di conforto,
Celestial ne’ torbidi riparo;

Perchè noi più T’amiamo e a noi più santo,
Ne le memorie il nome tuo ci duri,
Quando queste vissute ore di pianto
Richiameremo al cor ne dì futuri.

A Te ‘l dobbiamo, se a Te accolte intorno
In una tregua limpida di pace
Anche quest’anno ne ritrova ‘l giorno,
Giorno nel quale ogni tempesta tace.

Deh, trovi ritornando, la Tua festa
Di glorioso serto rifulgente
La Patria nostra benedetta, questa
Martire invitta ognor più rinascente.

Tale ne l’ora trepida, che volge
Il nostro voto, la preghiera sola,
Mentre l’ora di Dio gli eventi avvolge
D’un mistero, che l’anima sconsola.

Tale il voto per Te, per noi, per tante
Esuli tombe in italiana terra,
Per chi combatte e cade e per le sante
Vittime oscure de l’immensa guerra!


Sotto l’incubo

“…io so di tale
che, perduta la patria, ha visto i mondi”

G. BERTACCHI

In questa del mio cor lenta agonia,
Pur m’avvien di concedermi alla speme
Che vero ch’io Ti lasci – ahimè! – non fia,
Dolce soggiorno, ove ‘l riposo estremo
M’avea pensato a miei diletti insieme
E che d’abbandonar per sempre temo.

Deh, l’ora mi si indugi in questa estrema,
Forte illusion che l’anima consola,
O venga, avanti ch’io ne resti scema
Al mio povero dì l’ultima sera!
Venga colei che, pietosa, invola
L’uomo infelice dalla ria bufera.

D’ora in ora recido un più tenace
Filo che al mio passato ancor m’avvince
E tento di ridur l’anima in pace
A sostener quest’ultimo martirio,
Ma pertanto ‘l mio cor non si convince
Ed inerte rimango e sol sospiro.

Che sarà, che rinserra l’avvenire,
Ne la fosca sua trama al mio destino?
Forse ‘l dolor, più vivo che ‘l morire,
Forse le pene d’un atroce esiglio?
Forse ‘l dover partirmi in un mattino
Brumoso, di speranze e di consiglio

Cuore deserto, nel pensier smarrita
Del negato ritorno, o di pensiero,
Di volontà, di forze rifinita,
Come una foglia che disperde ‘l vento
Anima frale, dal poter del vero
Vinta e di spemi infrante dal tormento?

Oh, non convien che sì aderisca ‘l core
Al luogo, che di sè l’ha ognor nutrito
E che tutto vi leghi il suo valore!
A chi perde la Patria aumenta ‘l celo
E l’orizzonte appar come infinito
Mare d’azzurro per lo spirto anelo.

Esule non sarò se veda il sole
Dolce d’Italia, se ‘l mio dolce idioma
Scendami al cor, sol suon di sue parole…
Da la patria mia piccola lontana,
Nomade sotto la dolente soma
De le memorie, resterò italiana!

10 novembre 1917